“Se non torni subito in ufficio, sei fuori” – Licenziamento immediato per chi lavora in Smart Working | Comunicato del Garante

Licenziamento per smart working illustrazione (Canva foto) - insolenzadir2d2.it
Il lavoro da remoto potrebbe avere i giorni contati dopo il nuovo intervento del Garante: cosa sta cambiando.
Nel silenzio degli uffici vuoti, la flessibilità dello smart working sembrava ormai un’acquisizione definitiva. Molte aziende avevano già riorganizzato i propri spazi e ripensato i modelli produttivi. Il lavoro da casa, dapprima una necessità, era divenuto un’opportunità. Ma qualcosa, nelle ultime settimane, sembra aver incrinato questo equilibrio.
Alcune realtà, in modo più o meno esplicito, hanno cominciato a richiamare in sede i dipendenti. I toni si sono fatti più rigidi e, in alcuni casi, è sembrato che la tolleranza verso il lavoro agile si fosse improvvisamente esaurita. Chi lavora da remoto ha iniziato a sentirsi sotto osservazione, o peggio, considerato meno affidabile.
La motivazione non è legata solo alla produttività. Dietro la richiesta di tornare in ufficio si nasconde spesso un’esigenza più strutturale: quella di controllare. Una gestione non più fondata sulla fiducia, ma sul monitoraggio continuo, ha spinto molte organizzazioni a ricorrere a strumenti sempre più invasivi. Un sistema che sembrava consolidato, ora rischia il crollo per motivi normativi.
In effetti, le aziende oggi si trovano davanti a un bivio delicato. Non potendo più tracciare con certezza dove si trovino i dipendenti, alcuni datori di lavoro potrebbero scegliere di eliminare del tutto lo smart working. Non tanto per un calo di prestazioni, ma per l’impossibilità di esercitare un controllo attivo e costante sulle attività lavorative.
Il blocco alla sorveglianza e le conseguenze sul lavoro agile
Il Garante della Privacy ha sanzionato l’Arsac, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Calabrese, per aver tracciato in modo illecito i propri dipendenti in smart working tramite geolocalizzazione. L’ente utilizzava l’applicazione “Time Relax”, che chiedeva ai lavoratori di indicare la loro posizione e di inviare conferma via email. La raccolta dei dati avveniva senza informativa adeguata, senza una valutazione d’impatto, né il necessario accordo sindacale, contravvenendo alle norme del GDPR e allo Statuto dei Lavoratori.
Come riporta La C News24, una dipendente ha segnalato il sistema, avviando un’indagine che ha portato a una multa da 50.000 euro e alla definizione di un principio chiaro: non si può controllare un lavoratore da remoto senza tutele e regole condivise. Secondo il Garante, i dati raccolti in violazione non possono nemmeno essere usati per fini disciplinari.

Le aziende potrebbero eliminare lo smart working per evitare sanzioni
Questa decisione potrebbe innescare una reazione opposta a quella auspicata: invece di tutelare i lavoratori, potrebbe portarli di nuovo tutti in sede. Alcune aziende, spaventate dal rischio di sanzioni o impossibilitate a effettuare verifiche nel rispetto della legge, potrebbero preferire l’abolizione del lavoro agile. Non si tratta di una minaccia astratta: i primi segnali di un ritorno forzato in ufficio sono già emersi.
L’equilibrio tra diritto alla privacy e necessità organizzative è fragile. E ora che la sorveglianza è stata messa in discussione, la possibilità per molti di lavorare da casa potrebbe dipendere solo dalla volontà del datore di lavoro. Una decisione che, più che tecnologica o culturale, diventa improvvisamente giuridica.