Battesimo vietato, da oggi i preti devono chiedere l’ok del Comune o tu rimani fuori dalla chiesa | Non ci sono santi che tengano

Battesimo annullato (Depositphotos foto) - www.insolenzadir2d2.it

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Senza questo importante passaggio burocratico, il battesimo si ferma: serve il via libera del Comune prima di entrare in chiesa.

Per tante famiglie, il battesimo è il primo grande passo. Non solo spirituale, ma anche affettivo. È il giorno in cui il neonato riceve il primo sacramento davanti alla comunità, in cui si festeggia con parenti e amici. Ma — e qui viene il punto — non basta più scegliere il giorno, parlare col parroco e organizzare il rinfresco.

Serve anche un passaggio burocratico, che può cambiare tutto. Già, perché la Chiesa chiede un dato ufficiale. E se qualcosa va storto, se ci sono problemi, ecco che il battesimo slitta. Sembra assurdo? Beh, in effetti lo è. Ma può accadere.

La verità è che dietro il rito religioso c’è un intreccio di regole che poco hanno a che fare con la fede. Regole civili, che vanno rispettate se si vuole procedere col sacramento. E così, alcuni preti iniziano a chiedere conferme dai Comuni, prima ancora di mettere in calendario la cerimonia. Nessun battesimo, se prima non arriva il via libera.

Per i genitori è uno choc. Perché nessuno si aspetta che il proprio figlio possa “restare fuori” dalla chiesa per colpa… di questo “cavillo”. Eppure è proprio così. Se non si rispettano certi criteri, tutto si blocca. Altro che candele e bomboniere.

Iter post nascita

E il problema non è legato solo alla Chiesa. Anzi, parte tutto da una questione ben più ampia. In Italia, per ogni nascita, c’è un iter preciso da seguire per il riconoscimento legale del bambino. L’atto di nascita, la dichiarazione ufficiale, la registrazione del nome: tutto deve combaciare perfettamente. Se manca anche solo uno di questi passaggi, si rischia il blocco totale.

E poi c’è un altro aspetto, spesso sottovalutato. La tutela dell’identità del minore. Le norme servono anche (e soprattutto) a evitare situazioni che possano esporre il bambino al ridicolo, alla discriminazione o a difficoltà nel percorso di crescita. Ed è proprio in nome di questa tutela che, a volte, l’Ufficiale di Stato Civile è costretto a dire “no”.

Neonato (Pixabay foto) - www.insolenzadir2d2.it
Neonato (Pixabay foto) – www.insolenzadir2d2.it

Quando il nome diventa un problema vero

Tutto ruota attorno a una legge poco conosciuta: il Dpr n. 396 del 2000. Come riporta la Gazzetta Ufficiale, l’articolo 34 fissa regole ben precise sulla scelta del nome: niente nomi ridicoli o offensivi, non si può usare lo stesso nome di un familiare prossimo, ecc. Poi, all’articolo 35, si dice che il nome deve rispecchiare il sesso biologico del bambino e non si possono usare più di tre nomi.

Insomma, se il nome non va bene — magari perché troppo strano, oppure perché l’Ufficiale di Stato Civile lo ritiene inappropriato — può essere rifiutata l’iscrizione all’anagrafe. E senza registrazione? Niente codice fiscale, niente documenti… e niente battesimo. Perché per la Chiesa serve un’identità chiara, riconosciuta dallo Stato.